GIOVANNI PARISI

IL RAGAZZO DI VOGHERA

 

parisi.jpgNon ci ho nemmeno mai scambiato una parola con Giovanni Parisi, pur essendo cresciuti nella stessa città e avendo solo qualche anno di differenza. Da piccoli abitavamo in rioni diversi, frequentavamo scuole diverse, avevamo amici diversi e – per riassumere il concetto – vivevamo in ambienti diversi, anche se tra casa mia e casa sua c’era giusto un chilometro e avremo di sicuro tirato due calci al pallone negli stessi campetti. Parisi era nato a Vibo Valentia ma non ci aveva mai vissuto. Prima che lui compisse un anno la sua famiglia era emigrata a Voghera e lui, anche se alle radici calabre teneva giustamente, era vogherese. Ma immagino, in quella Voghera degli anni Settanta, che l’etichetta del terrone ce l’avesse appiccicata in fronte, con tutte le diffidenza e le chiusure che a quei tempi comportava. Anche in una città dove non c’erano eccessi né derive, e quello del terrone più di ogni altra cosa era un semplice status, una delle categorie in cui dividi il mondo con l’accetta. Parisi aveva una strana parlata, dove l’inflessione vogherese (la stessa drammatica inflessione vogherese che ho io) si miscelava al calabrese che i suoi parlavano in casa e diventava uno slang americo-padano. Aveva una voce simpatica, e mi spiace – mi sembra incredibile – non averci mai scambiato una cazzo di parola in 40 anni di vicinanza, né da vogherese, né da sportivo, né da interista (sì, era interista), né da giornalista. Che strane cose accadono a volte.

Parisi, fino alle Olimpiadi di Seul, per me era un titolo di giornale. Sulla Gazza o sulla Provincia Pavese ogni tanto ne appariva uno su questo pugile promettente, che battendo questo o quell’altro era entrato nell’orbita della nazionale quando il peso specifico della boxe era ben più corposo di quello di adesso. In quelle Olimpiadi micidiali per fuso orario (era quasi tutto di notte) di Parisi ricordo giusto i risultati. Il primo turno passato, poi il secondo, poi il terzo, poi la medaglia sicura approdando in semifinale, poi la finale. Quella sì, puntai la sveglia per vederla. Un vogherese che si gioca la medaglia d’oro capita ogni qualche decennio. L’altro era un tale Dimitrescu. Parisi vinse prima del limite, quasi per default, quasi senza realizzare bene l’enormità che aveva fatto: vincere l’oro nei piuma in Corea, la terra dei piuma. E così il mondo conobbe la storia di Giovanni Parisi nato a Vibo ma vogherese di adozione, della sua infanzia difficile, della mamma che gli era morta senza vedere il trionfo, della professoressa Alida che se lo coccolava perché non si perdesse, della sua candidatura nel Pci alle comunali.

Parisi passò professionista e divenne star internazionale. Due titolo mondiali (leggeri e superleggeri, poi fallì i welter), un bel po’ di difese vincenti, 41 vittorie su 49 incontri di cui 29 per k.o., il soprannome tamarro “Flash” in ossequio al suo sinistro assassino, il look piucchetamarro in ossequio alla regola che i pugili non sono gente normale neanche quando si mettono la camicia. Ha conservato uno stile pulito, ha combattuto a Las Vegas, ha conquistato (non del tutto) Don King, ha sconfitto i migliori.

E ogni volta tornava a Voghera.

Giovanni Parisi era un ragazzo buono. Buono come forse solo certi pugili sanno essere, spiazzandoti, perché li vedi massacrarsi sul ring e poi mostrare anche l’altra faccia, quella più autentica, che non dipende dalle frange agli scarponcini o dai giubbotti alla Little Tony, ma dal cuore che fai pulsare. Si è sposato una prima volta ed è durata poco. Con la seconda moglie ha fatto tre figli che hanno nomi ispanici da pugile ma sono vogheresi, forse anche più di lui che ci teneva a non perdere le stimmate del terrone. Tre bambini che stamattina si sono svegliati senza papà, e questo mi mette addosso una tristezza formidabile. Flash ha avuto un finale di carriera in declino, come la gran parte dei pugili che tardano a ritirarsi, ma di grande dignità. Gli piacevano i macchinoni e i vestiti eccessivi, ma risiedeva a Voghera e andava al bar di Medassino a mischiarsi – da persona normale – alla gente normale. Se c’era da prestare la faccia alla beneficenza, lui lo faceva. Magari senza far nulla che non fosse sedersi in prima fila a un qualche evento, ma lo faceva. La sua era una bella storia di anni duri e di sudori anonimi, e mi spiace che sia finita così, in tremendo anticipo, contro un furgone, in un rettilineo. Non era nato a Voghera ma è morto a Voghera, come forse avrebbe voluto. Ma tra quaranta o cinquant’anni, non ieri sera, a tre minuti da casa.

GIOVANNI PARISIultima modifica: 2009-03-26T15:28:00+01:00da admin
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