INTER-UDINESE 2-5

LA MALEDIZIONE DEL 14

Sì, vabbe’, l’Udinese, bla bla bla. Il campionato dell’Inter in realtà è finito un giovedì sera di tre mesi fa, con 14 giornate di anticipo. Inter-Cluj, Europa League, una competizione che il morbo di Montezuma al confronto è ‘na passeggiata de salute. Dopo qualche minuto il ginocchio di Milito va in poltiglia e stop, basta, fine, kaputt. La stagione si è conclusa lì, brutalmente, come brutale è stato l’infortunio. Brutale e simbolico, come un sacco di altre cose di questa stagione disgraziata. Un ginocchio che si spezza senza neanche l’alibi di un contatto – come il tendine del Capitano – e ti priva dell’unico vero giocatore insostituibile dell’Inter. Insostituibile non solo in quanto Diego Alberto Milito, ma in quanto letteralmente senza sostituto: preso Rocchi fuori forma e mezzo rotto, ceduto Livaja per prendere Schelotto, il regime dell’Inter post-mercato di gennaio – “di fatto abbiamo una sola punta centrale e ce la facciamo bastare alla facciaccia vostra” – dura appena 14 giorni: il 14 febbraio, con 14 partite di campionato (la maledizione del 14) ancora da giocare, la nostra stagione si concludeva lì, sull’altare del più manifesto e macroscopico degli errori di programmazione.

Alla 24ma di campionato (vinta col Chievo non a caso con un ordinario partitone da signor centravanti di Milito appena rientrato da un infortunio) (sospiro), un’Inter che già stava inanellando una discreta serie di cagate era comunque quarta in classifica con un punto in meno della Lazio (quindi a un punto dalla Champions) e conservava ancora 2 punti di vantaggio sul Milan in rimonta, 4 sulla Fiorentina, 7 sul Catania e sull’Udinese, 9 sulla Roma. Era, al netto di un numero assolutamente eccessivo di sconfitte (erano sette, all’epoca), una squadra ancora in corsa per tutto: non per lo scudo, certo, ma per la Champions sì (e il Napoli secondo era a +7, tanto ma non troppissimo), e poi per la Coppetta europea e per la Coppetta italiana.

Nelle ultime 14 partite abbiamo fatto 13 punti (3 vinte, 2 nulle, 9 perse). 14 partite sono tante, sono più di un terzo del campionato. Voglio dire: sono statisticamente significative, molto significative. A parte il Pescara, che ha fatto un (1!) punto, nelle ultime 14 partite hanno fatto peggio di noi solo il Torino (11, che si è salvato alla penultima giornata) e il Siena (12, che è retrocesso). Ha fatto meglio di noi anche il disastroso Palermo (14, retrocesso), e anche il pallidissimo Genoa (16, miracolosamente salvo alla penultima) e la sbracata Lazio (17). Il fin troppo rilassato Catania ne ha fatti 20, sette più di noi. Nelle ultime 14 la Juve ne ha fatti 32, il Milan e la Fiorentina 31, l’Udinese 30, il Napoli e la Roma 28.

Nelle ultime 14 partite (ah, dimenticavo: 28 gol subiti, 2 a partita!) siamo stati da retrocessione. E questo spaventa perchè non si parla di ultime 3, o ultime 5. No, di ultime 14 partite, oltre un terzo del campionato (e comunque 1 punto nelle ultime cinque, o 4 nelle ultime nove, sono una vergogna).

Chiudiamo il campionato demolendo una serie di record storici negativi. Certo, è un record storico anche quello degli infortuni, e vorrei aver visto una qualsiasi altra squadra gestirsi in una situazione come la nostra, e un qualsiasi altro allenatore portare a casa il culo in un simile disastro.

Però così no, in questo modo no. Non si fa per tre mesi meno di un punto a partita, non si prendono per tre mesi due gol a partita, non se ne prendono in casa 4 dall’Atalanta e 5 dall’Udinese (eccetera eccetera). Non si può fare tutto questo per alcune ragioni, alcune oggettive e altre soggettive: che si gioca pur sempre in 11 contro 11, ci si chiama Inter mica per una cazzo di niente, si guadagnano dei bei soldini (anche se non si gioca, anche se si fanno figure di merda), si può contare sull’appoggio spassionato di un popolo di tifosi che si rende conto delle difficoltà e del momento e, francamente, non ti rompe i coglioni oltre il limite fisiologico. Se Di Natale fa dieci gol come quello che ha fatto, ci sta anche che tu possa perdere 0-10 in casa con l’Udinese. Ma non si possono prendere quattro gol come gli altri quattro, neanche nei brutti sogni. Come atteggiamento sembravamo il Pescara retrocesso, e invece – per quanto incredibile – eravamo l’Inter. Non si fa.

E’ chiaro che a questo punto i 63 infortuni non controbilanciano l’atteggiamento della squadra. E ce ne vuole, cara squadra, a neutralizzare l’effetto exscusatio di 63 infortuni. E neanche la ciclica storiella dei complotti diventa – la facciamo diventare – una barzelletta. Così come è chiaro, caro Strama, che con tutte le attenuanti del caso non è scusabile un così indecoroso calamento di braghe di cui un allenatore è come minimo corresponsabile. E quindi anche il Settoruccio zen post triplete si ritrova roso non dai dubbi, ma dai postumi di una caduta libera che nessuno può accettare, neanche il più clamorosamente interista degli interisti. Finisce che io, concettualmente stamaccioniano (nel senso che ritengo più che congruo affidare a un allenatore giovane ed entusiasta un progetto che coniuga pizza, fichi secchi e speranze di uscirne il meglio possibile), ora son qui a chiedermi se questa strada imboccata tutti insieme sia davvero quella migliore.

No, perchè alla fine nessuno si è più speso. I giocatori, in particolare, quelli superstiti, di sicuro non si sono spesi abbastanza, o per niente (quando un Pinzi va in porta col pallone dopo 40 secondi ti sale la voglia di prendere 11 giovanotti a calci in culo fino a piazzale Axum). L’allenatore non sembra essersi più ben speso nè intellettualmente (va bene l’emergenza, ma forse serviva qualche scelta più netta: cioè, far giocare chi aveva voglia davvero indipendentemente dal cognome) nè emotivamente (l’emergenza può anche essere un valore e in tre mesi per noi lo è stato solo una sera, nel ritorno col Tottenham. Il resto, una merda). Sulla società stendiamo un velo: bisognava spendersi un anno fa, e poi spendersi a gennaio. Non dico spendere, dico spendersi. Certe scelte ti si possono ritorcere contro. Noi le abbiamo pagate tutte. C’è molta sfiga in tutto questo, ma ci si può anche attrezzare meglio contro le eventualità.

Sono contento che sia finita. Il problema è che adesso ho un po’ paura di come possa continuare.

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