HARRY POTTER

POP CORN (MORIRE DI)

Ore 18.30. Il multisala (la multisala?) è deserta. Tre casse su quattro chiuse. Alla cassa aperta, una famiglia folta e lenta. Ma non c’è fretta. Chiedo il 3D e pago la relativa barbarità. Ritiro il duemillesimo paio di occhiali. Il ragazzo mi dice cose che non capisco relativamente allo scontrino e al fatto di tornare, un giorno, potendo chiedere uno sconto su non so bene cosa. Sono distratto. Boh. Mi reco a quello che io, con un termine ormai antiquato, chiamo “bar”. Deserto pure quello. Appoggio i gomiti al bancone tipo cowboy. Un ragazzo gentile mi chiama: venga, il corner attivo è questo.

Ci sono quattro corner, e ho preso quello inattivo. Fanculo.

Ma mi godo il fatto di essere arrivato in leggero anticipo e, soprattutto, che questo cazzo di posto che solitamente è una bolgia oggi è deserto. E’ quasi gradevole. Mi ci potevo anche coricare, sul corner. Ordino pop corn e coca per tre.

Primo problema: “Abbiamo la Pepsi, fa lo stesso?”

Ovviamente sì. Ma tutto questo è nulla in confronto al secondo problema:

“Prendete tutti Pepsi e pop corn? Allora fate il menù, così risparmiate”.

Le combinazioni sono tutte parecchio bizzarre: pop corn piccolo + coca media, pop corn medio + coca grande, pop corn grande + fusto da 15 litri di coca, pop corn gigante + ingresso nell’azionariato di una fabbrica di bibite gassate.

Guardi, faccio al ragazzo: pop corn piccolo va benissimo.

Al che il ragazzo, ringraziando, prende un’enorme vaschetta. E io gli faccio: no, scusi, pop corn piccolo.

“Questo è il pop corn piccolo”

dice lui indicandomi il pop corn medio, una specie di insalatiera, e il pop corn grande, una specie di cisterna.

Deglutisco mentre il ragazzo affonda le tre vaschette “piccole” in un mare di pop corn e poi ce le porge. A quel punto pago.

“Venti euro e 70”.

Diobono, penso io, chiedendo intimamente perdono a Moratti per la mai risolta questione dei cornetti Algida. A quel punto ci carichiamo di cibo, bevande, occhiali e biglietti. A metà scala mi sento chiamare da una ragazza:

“Mi scusi, è lei che ha perso i biglietti?”

Ci guardiamo attorno, noi e lei. Non c’è nessuno. Posso averli persi solo io.

“Grazie, Iddio la benedica”.

La ragazza ci accompagna al gate (non lo so se si chiama gate, l’ho sparata adesso perchè fa figo), toglie il nastro nero, entra e lo richiude con noi fuori.

“Scusi, ho finito il turno, non posso strapparle i biglietti. Arriva il collega”.

In un giorno di affluenza normale probabilmente sarebbe stata linciata. Ma non c’è nessuno, tranne tre poveri tapini con in mano tre enormi pop corn piccoli e tre infinite pepsi medie. Quando inizio a spazientirmi arriva il collega. Lo scongiuro di prendermi i biglietti dalla tasca. Li strappa. “Non c’è intervallo, buona visione”.

Grazie.

“Gli occhiali 3D può indossarli sopra i suoi”.

Grazie. Sant’Iddio, sembro così anziano? Eppure mi sono messo la Fred Perry stretch.

Il film? Non so cosa dire. Avevo visto i primi due, mi sono perso i successivi diciassette, quindi non ho capito un emerito cazzo. Dopo venti minuti, avendo finito i sette chili di pop corn colto da una fame nervosa, sono stato preso da un abbiocco mortale. Ho resistito. Viva il cinema, viva l’Italia.

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