UN CERTO DESTINO

SAMARCANDA

Fiumi poi campi, poi l’alba era viola
bianche le torri che infine toccò
ma c’era tra la folla quella nera signora
e stanco di fuggire la sua testa chinò.
“Eri fra la gente nella capitale
so che mi guardavi con malignità
son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale
son scappato via ma ti ritrovo qua”.


“Sbagli t’inganni ti sbagli soldato
io non ti guardavo con malignità
era solamente uno sguardo stupito
cosa ci facevi l’altro ieri là?
T’aspettavo qui per oggi a Samarcanda
eri lontanissimo due giorni fa,
ho temuto che per ascoltar la banda
non facessi in tempo ad arrivare qua”.

Michela Rossi aveva 38 anni e abitava all’Aquila. Era un ingegnere aerospaziale e, per diletto, una podista. E parecchio tosta, peraltro. Aveva già corso diverse maratone e stava per passare al triathlon. Era iscritta alla maratona di Londra del 26 aprile. Domenica scorsa, invece, 5 aprile, aveva partecipato alla Stramilano agonistica, una mezza maratona che ha corso in 1h 39′ 26″. Tempo che, se lo corressi io, sarebbe il mio personale per 14 fottuti secondi. La Stramilano ha un pregio (ti fa correre in centro a Milano una gara piattissima e abbastanza suggestiva) e una marea di difetti, tra cui l’orario di partenza (intorno alle 11, di solito si parte alle 9 o alle 9,30). Questo significa che tra una balla e l’altra all’una sei ancora lì che pirli in zona Arena, vai alla caccia della tua borsa, cerchi di cambiarti e di rifocillarti. Poi, se non sei di Milano, devi andare alla macchina e puntare verso casa.

Anche Michela avrà fatto così. E da Milano – chissà, verso le due del pomeriggio, forse le tre – sarà partita verso L’Aquila. Ci avrà messo quanto? Sei ore? Sette? Otto?

Dopo una mezza maratona l’endorfina ti appiana il livello di cottura. Sei stanco ma contento, rilassato. Ti metti in macchina con i tuoi compagni di squadra e passi al setaccio la gara. Oppure, se sei solo, metti su un bel cd e canti. Se la giornata è bella, poi, l’umore da buono diventa ottimo. Mi fa una maledetta impressione pensare a Michela che torna stanca ma felice a sera inoltrata, e non vede l’ora di aprire la porta di casa e appoggiare il borsone per terra, farsi una doccia come si deve, mangiare un boccone guardando la tv, oppure infilarsi a letto perchè la giornata è stata lunga abbastanza. Era da settimane che la terra ballava. Quale migliore occasione per evitarsi una notte di stress? Poteva prendersi un giorno di ferie e andarsi a vedere una mostra a palazzo Reale. Ma no, lei no: come quasi tutti quelli della Stramilano, è corsa a casa. La sua casa, però, era all’Aquila, cioè Samarcanda.

E’ morta un sacco di gente, e quasi tutta giovane, in questa modalità Samarcanda, con la nera signora che aspettava a tradimento. Gente che non era dell’Aquila. O gente dell’Aquila che avrebbe anche potuto non essere lì, tipo Michela, avesse forato una gomma o avesse avuto una zia da andare a trovare a Busto Arsizio. Sono le storie più sconvolgenti, che ti fanno pensare al destino in una modalità un po’ più seria dal solito. Cose che mi porto dietro dall’Abruzzo ora che sono tornato in Padania a riprendere il mio tran-tran, serenamente, soddisfatto di aver vissuto quattro giorni di cuore e di pancia a far vita da mediano davanti a un pc.

Saranno due o tre ore che in rete sto cercano di recuperare immagini che non ho mai visto. C’era un televisore, là nel bunker, che però nessuno aveva voglia di accendere. E’ come quando vai a San Siro e ti sfugge il momento del gol: poi torni, la gente ti chiede e tu sei lì che smanetti su Sky perchè non sai nulla. Io ero là e ho visto poco, pochissimo. Mi mancano molti fotogrammi. Mi resta però molto sentimento, con il quale continuerò a seguire i fatti d’Abruzzo, terra a me ignota fino a qualche giorno fa e ora diventata così vicina, quasi urgente in certi momenti. Quando i riflettori si spegneranno e quelli della “Vita in diretta” non chiederanno più cosa si prova, inizierà la fase più difficile del dopo-terremoto. Adesso c’è un inqualificabile trambusto, ma tra non molto calerà un triste silenzio. Servirà una via di mezzo. Servirà non spegnere il pensiero. Il mio, nel suo piccolo, sarà sempre vivo. Non sottovalutiamoli: milioni di pensieri e di occhi vigili saranno la chiave per accelerare – come dire? – la ripartenza.

 

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