INTER-CITTADELLA 4-0

AMALA, MA FAI LA FILA

Urta un po’, in tempi di recessione economica e nerazzurra, che le manifestazioni d’amore incondizionato (c’è qualcosa di più manifestamente e amorevolmente incondizionato dell’andare a vedere Inter-Cittadella il 18 di agosto alle ore 18,30?) vengano sottovalutate. L’Inter, o quel che ne resta, ha creduto di fare (tutto) il suo mettendo in vendita a prezzi stracciatissimi i biglietti d’ingresso a Inter-Cittadella di Coppa Italia. Stop, compitino fatto, e adesso cazzi vostri. Ora, nel ringraziare di avermi fatto appoggiare il culo sulla tribuna rossa centralissima a 15 euro, debbo levarmi dal gozzo alcune cosucce. Perché l’impressione, tornato a casa e ripensando al tardo pomeriggio del 18 agosto, è che l’Inter un po’ si approfitti dell’amore incondizionato, e se ne approfitti tanto da sottovalutarlo, o da non riuscire a dargli il giusto peso. Che, lo ribadisco, in temi di recessione è ancora più grave.

Insomma: è il 18 agosto, fa un caldo bestia, la Coppetta Italia ti affibbia il Cittadella (non il Manchester Utd, sia detto con rispetto), il mercato è stato quello che è stato, la squadra non è (ancora) né carne né pesce, non c’è oggettivamente uno straccio di motivo che ti costringa a lasciare la spiaggia o il Pinguino De Longhi,

eppure

poco meno di ventimila persone accorrono a San Siro come i pastorelli verso il loro presepe perché è così, è chiaro, è logico, è sicuro, amare l’Inter vuol dire anche fare ‘ste cose – se ne fanno di molto peggio, questa è quasi da pantofolai – e una partita a San Siro della nuova (?) Inter il 18 agosto diventa un appuntamento centrale. Io, per esempio, il 14 agosto (il 14 agosto!) sono andato alla Coop, ho chiesto “Scusi…” “Buon uomo, i sottaceti sono nella corsia centrale!” “No, aspetti, volevo un biglietto per l’Inter” “Ah! E’ socio Coop?” “Certo, se vuole le  canto l’Internazionale, o Bella ciao o…” “Venga, ma non sparga troppo la voce” e insomma sono uscito dalla Coop senza carrello ma con un bel biglietto.

Un biglietto fisico.

Perchè chissà, forse era un presentimento, forse un’illuminazione tipo Costantino in hoc signo vinces eccetera, o forse semplicemente il mio naturale antidoto alla pigrizia (le code non mi spaventano, quelle inutili sì e mi fanno pure girare i coglioni), ma quando vado a San Siro voglio arrivarci col biglietto già in mano, che si giochi col Barcellona o col Cittadella.

Arrivo in largo anticipo e spendo mezz’ora della mia vita a cercare l’omino che vende il gratta e parcheggia. Dopo ricerche avventurose (passaparola con altri tifosi, indicazioni carbonare, ingaggi di investigatori privati, mazzette a passanti, noleggio di un drone) lo trovo, sgancio 5,40 euri, torno alla macchina e noto che, nelle 100 auto che precedono la mia, su 99 cruscotti non c’è un cazzo. Fiero del mio gesto civico, ma stanco per i 14 km percorsi e indignato per la mancanza di info e parcometri, mi reco allo stadio Meazza.

san-siro_b1.jpgQui noto una muraglia umana che si accalca alla biglietteria nord, una roba mai vista, manco si giocasse il derby di spareggio per lo scudo, o la finale di Champions con il Trapani. Mi aspetto che arrivino i vigili del fuoco con gli idranti per rinfrescare la folla, oppure la polizia con gli idranti per disperderla. Mancano 15 minuti alle 18, quindi 45 minuti all’inizio della partita. Con la mia personale e ultradecennale esperienza di Gardaland, faccio due calcoli e dico tra me e me, guardando gli ultimi della fila (che non era una fila, ma una specie di ressa dantesca): “Questi entrano tra due ore”.

Per qualcuno è stato davvero così. Ho visto gente entrare poco prima dell’intervallo, altra cercare il suo posto all’inizio del secondo tempo, sfatta come dopo una mezza maratona a Manaus.

Quando si parla dell’inadeguatezza di San Siro vengono subito in mente i cessi, oppure i prezzi dei cornetti Algida rapportati al loro stato di scioglimento. Ma probabilmente la cosa più vergognosa di questo glorioso stadio sono quei quattro prefabbricati chiamati pomposamente biglietteria, dove si accalca gente scomposta (le file non regimentate sono una roba da quinto mondo) che arrivata allo sportello si incazzerà ancora di più perchè il rilascio del biglietto è diventata una cosa lenta e burocratizzata, e quei poveri ragazzotti che ci lavorano dopo due ore di calca e di insulti qualche volta sono nel pallone più completo.

Quindi, cara Inter, cari Moratti e Thohir, e da voi a pioggia fino all’ultimo dei funzionari, non sottovalutate l’amore dei tifosi verso l’Inter, e fate in modo che per amare non sia necessario farsi due ore di fila tra ascelle pezzate e bestemmie latenti.

Ah, per la cronaca: non che dentro sia filato poi così tutto liscio. L’amico Franco Bomprezzi mi fa notare che i nuovi tabelloni pubblicitari luminosi (troppo luminosi, avevo distrattamente notato dalla tribuna) sono più alti dei precedenti. Ergo: dietro, nei posti riservati ai disabili, non si vede un cazzo. Beh, complimenti. Visto che tra Inter e Milan ci sono davanti 38 partite di campionato più qualcuna di Champions e di Coppetta, forse è il caso di provvedere.

Quanto alla partita, va bene così. Noi ci siamo divertiti, quelli del Cittadella si sono divertiti: se al 18 agosto c’è una partita dell’Inter, cazzo, cosa pretendi di più? Jonathan sembra un giocatore di calcio, Guarin sembra uno col trolley, la maglia è un po’ da beccamorti, Icardi e Belfodil forse un giorno si faranno: un giorno di non so che mese, e non so nemmeno l’anno. Ma io sono fiducioso, molto fiducioso, sempre fiducioso.

Ringrazio per l’improvvisata compagnia Matteo dei Jonas Brothers, Roberto “l’uomo che sussurrava alle ciliegie”, don Ste via sms dalla tribuna opposta e Tagnin, che di solito vedo al Boccio e invece mi si materializza due file sotto. Gli chiedo alla fine del first half: cazzo ci fai qui? E lui: e tu che cazzo ci fai qui? E io: vabbe’, allora? E lui, con fare rassicurante:

“Siamo agghiaccianti. Oh, ti volevo ricordare che tra una settimana è campionato”.

Noi pavesi siamo appassionati e irragionevoli e preoccupati e innamorati e rompicoglioni, come ogni interista.

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