LUCIO DALLA

CARO AMICO TI SCRIVO

Caro Lucio,

lucio2.jpgsono quattro ore che clicco in loop su Youtube, e quando ci siamo conosciuti non si diceva nè cliccoloop, e non c’era Youtube. Ho quel magone latente di quando muore un amico, eppure ho controllato: non compravo un tuo disco da 22 anni, “Cambio”, uno dei primi cd che ho comprato. Intendiamoci: cd in quanto oggetto, in quanto disco di metallo o quel cazzo che è, perchè nel 1990 eravamo negli anni di passaggio dal vinile al cd – che tristezza, a ripensarci – e cominciavo ad ammonticchiare le prime custodie in plastica accanto alla ben più corposa raccolta dei vinili. Altra epoca, pensa te. Presi “Cambio”, non mi piacque granchè e non ti comprai più, caro Lucio. Da singolo utente, da singolo fan, avevo già deciso che eri entrato nella fase altrimenti detta “declino del grande artista”. Mi fa impressione pensare che quando comprai il tuo – per me – ultimo cd, avevi l’età che ho io adesso. Molta impressione.

lucio.jpgE quindi perchè ho un po’ di magone? Beh, facile: per tutto quello che mi hai fatto ascoltare prima di “Cambio”. Se oggi dovesi raccontarti a qualcuno, gli racconterei la storia che so io e che interessa a me. Una storia un po’ privata, di quando ascoltare e vivere la musica era un po’ diverso da ora, un po’ più intimo, un po’ più prezioso. Gli scriverei su un notes i titoli dei dischi che hai scritto dal 1977 al 1984, quelli della mia adolescenza fino alla pre-partenza per il militare, quella magica età della vita in cui si facevano i compiti e poi si stava due ore dentro le morbide cuffie Sennheiser ad ascoltare musica, a mettere su dischi uno dopo l’altro e leggere i testi sulle custodie. Tra quei 30/40 dischi che ho massacrato di ascolti e di salti di puntina, c’è anche tutto il meglio di te. Per me, appunto, i dischi dal 1977 al 1984: “Com’è profondo il mare”, “Lucio Dalla”, “Banana Republic”, “Dalla”, “Q Disc” e “Viaggi organizzati”. Poi una pausa fino a “Cambio”, dopodichè – senza rancore, Lucio, e con grande rispetto – ti ho lasciato andare alle tue bizzarrie, ai tuoi parrucchini, alla tua sessualità misteriosa, alle tue baracconate. Non c’è mai stato problema: dopo quei sei dischi, come dire, avresti potuto fare qualsiasi cosa senza cambiare di una virgola la storia. La mia, dico.

La modernità delle cose spesso finisci per apprezzarla più tardi, quando ti accorgi di cosa voleva dire esere avanti, ora che avanti ci sei. Quei tuoi dischi, i “miei” dischi, hanno quasi tutti più di trent’anni e hanno tracce di modernità assoluta. Ormai avevi quasi settant’anni, Lucio, e non avresti mai fatto più nulla paragonabile a quelle cose là, com’è giusto e normale che sia. Ma l’enormità che ti lasci alle spalle a noi posteri basta e avanza. Mi hai dato brividi e allegria – anche oggi, durante il loop – e come un pallone che si è perduto, io ti saluto.

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