TWITTING FROM VILLAGE / 4

LA VERA ESSENZA DI BOOKMAN

E’ una generazione sovrappeso, scientemente sovrappeso. Una settimana tra epe maschili e femminili (ammesso che il plurale di epa sia epe) (e comunque, sognavo di scriverlo da tanto tempo) mi ha creato forti preoccupazioni sul futuro. Fuori di qui la situazione precipita moralmente, ma qui dentro non c’è alcun segnale di resistenza. Questa gente che si affolla ai buffet se ne fotte del degrado morale, così come del proprio girovita. Io ho mangiato come Benitez, ma selezionando (no alcol, no dolci, no fritti, sì tutto il resto) sono calato di un chilo. Gli altri invece assaltano vassoi e teglie di roba che straborda, come loro. E dire che mi stava venendo il complesso delle maniglie, e mi sentivo il maratoneta più burroso dell’Altitalia. Macchè. La mia cartucciera addominale, a confronto con certe panze e certi lombi, qui sembra la tartaruga di Corona.

La cartucciera (sospiro). Vedo una a una girarmi attorno le birre interiste – alcune decine, si stima – della nostra grande e inarrivabile primavera. Ricordo brindisi plurimi in occasione di Chelsea (ritorno), Cska (ritorno) (all’andata ero a San Siro, astemio), Barça (andata e ritorno), Madrid (andata, soggiorno in loco, ritorno a casa), questo solo per la Coppa. Poi ho brindato per la Coppetta e per i calcioni della Roma (credo una birra a calcio). Poi ho brindato per il campionato, ma non solo la sera di Siena (credo almeno un paio di sere), a cui bisogna aggiungere i brindisi (multipli e crassi) dopo Roma-Sampdoria. Eccole qui, una a una le birrozze primaverili. Guardate che maniglie.

Ma al villaggio sembravo Mister Universo, e me ne beavo, pur preoccupato per la sorte di questo Paese condannato dall’indifferenza, dall’insipienza politica e dal tasso di colesterolo. Così, mentre per la festa finale era tutto un chiamare a centro pista, me ne rimanevo al terzo anello dell’anfiteatro tamburellando il piede di fronte all’immane spettacolo di gente che ballava, guidata dalla coreografa, una canzone per decennio cominciando dai Sixties (minchia, Bandiera Gialla, everybody zomping), per andare ai Seventies (Ymca, te pareva, young-men!). Approdati agli anni Ottanta con la voce garrula di George Michael versione Wham!, notavo in pieno centro pista una pettinatura già nota. Al che, stropicciandomi gli occhi, cercavo di guadagnare una posizione più laterale per controllare l’identità dei ballerini. E i miei sospetti si facevano certezza. A centro pista, in un totale dominio del proprio corpo, stava ballando

l’Uomo Libro.

Il teorico del “libro culturale” e del “basta cazzate”, l’uomo che non ha orari e che non gli devi rompere i coglioni, ballava come Tony Manero senza sbagliare un colpo, con un ghigno costante che gli attutiva la sguardo con la luccicanza. Non ci potrei giurare, ma posso dire con una certa approssimazione che l’Uomo Libro

si stava divertendo.

E mentre la moglie andava fuori tempo ogni cinque secondi, lui sembrava Gianni Brezza, ma che dico Gianni Brezza, sembrava Steve LaChance, ma che dico Steve LaChance, sembrava un po’ Garrison, un po’ anche Don Lurio, insomma:

ci siamo capiti.

L’Uomo che non Deve Chiedere Mai tradisce una certa femminilità del movimento. Però balla bene, ‘tacci sua, e devo dire che dalla mia postazione del terzo anello, dove sorseggiavo una Schweppes (gli altri si ammazzavano di sangria), un po’ lo invidiavo. In fondo aveva anche lui un hobby, una passione, una dimensione diversa. Non è solo il cagacazzo da spiaggia lui e il suo cazzo di libro culturale

(a proposito, gente: so distinguere i libri, soprattutto gli Adelphi. Il suo libro era una manuale di qualche minchia di filosofa il cui nome di battesimo cominciava con la M e  forse finiva con la A, poi lo ha messo via e io sono rimasto lì come quelli della Mascherpa) (Mascherpa non è il nome)

ma anche un provetto ballerino che forse – data la sua condizione familiare e lavorativa – aspetta una settimana l’anno per sfogare la sua vera indole. E quando l’ho visto sfollare, tutto sudato e barcollante, l’avrei voluto fermare e dirgli:

“Oh, complimenti, sembravi Bolle diobono”

ma ho preferito finire la Schweppes e respirare l’aria fresca della sera, mentre i ballerini si trasferivano nell’attigua discoteca a continuare il loro delirio, ma senza il genio e l’arte di Bookman.  Che peraltro secondo me in camera ha un fucile a pompa e ci ucciderà tutti.