NON-PODISMO

ODIO IL CICLISMO, PERCIO’ PEDALO

Ci sono avvenimenti che ognuno di noi può a ragione ritenere altamente improbabili. Del tipo:

– fare 5+1 al Superenalotto con un biglietto prestampato trovato per terra all’Auchan di Cesano Boscone

– essere scelto da Scarlett Johansson quale coprotagonista del docu-fiction “Conosco il primo italiano che capita e me lo trombo”

– buttarsi come Baumgartner da millemila metri di altezza e atterrare sul tetto del mausoleo di Berlusconi

– abbonarsi alla Juventus, a Juve Channel e a Hurrà Juventus

– comprarsi una mountain bike

E’ stato quindi con animo particolarmente scosso che mi sono ritrovato, di mia sponte e senza alcune costrizione, in buono stato psicofisico e senza avere assunto droghe, a varcare la porta di un grande magazzino di articoli sportivi (sapete, quello che si chiama come quella disciplina dell’atletica leggera che si articola in dieci prove) con l’obiettivo unico di comprarmi una mountain bike.

(rumore di tuoni, lampi, saette)

Sono addivenuto a questa ferale decisione a causa della spina calcaneare di merda che mi tormenta il tallone sinistro, questo fottutissimo sperone osseo figlio di una gran puttana che già mi aveva macerato il tallone destro e che ora mi sta sfracassando, oltre che i coglioni, anche quello sinistro, Iddio li strafulmini i talloni e gli speroni ossei, che cazzo avrò mai fatto io ai talloni perchè loro si sentano in dovere di comportarsi così con me?

Ma questa è una sciocca rivendicazione. La realtà è che non corro da un mese, e che se assommo la lombalgia alla tallonalgia mi debbo rassegnare al fatto che negli ultimi tre mesi e mezzo sono stato fermo due. Allo specchio, ormai sembro Alfred Hitchkock, ho diciassette rotoli di lardo sul girovita e il quadruplo mento. Al che, disperato di fronte a questa immagine di me medesimo, mi sono rassegnato a prendere la ferale decisione: comprarmi una mountain bike. E con essa i primi tre accessori: casco, borraccia e pantaloni-bike.

I pantaloni-bike sono un po’ come i pomodorini da riso di Fantozzi. Fuori: normali. Dentro: una retina a cui è appeso un Linidor di gommapiuma che, negli intendimenti del progettista, dovrebbero proteggerti il soprassella. Fuori: non si vede niente. Dentro, senti qualcosa che ti bascula in zona sottoculo e che ti regala la netta sensazione di essertela fatta nelle mutande.

Per uno che ama correre, andare in bici è uno squallido surrogato. E’ come, per uno che ama l’Inter, guardare Tahiti-Nigeria. Vabbe’, ma mi adeguo alla mia ormai compromessa situazione fisica e all’avanzare dell’età. Voglio mantenere allegra la gamba per prepararmi al momento in cui tornerò a correre. Perchè il momento in cui si torna a correre dopo un lungo infortunio è un disastro: ti avvolgono pensieri di morte e distruzione, ti senti in forma come Schelotto e leggero come John Goodman, hai voglia di appendere al chiodo scarpe, pantaloncini, magliette, zaini e anche l’amico che un giorno di disse “ma perchè non provi a correre?”. Ecco, lo voglio evitare. Voglio arrivare minimamente pronto a quel momento. e quindi (che strazio) pedalo.

Pedalo da Pavia verso i dintorni, e ritorno. Si vede lontano miglia che non amo pedalare. Si vede che vorrei essere da tutt’altra parte, e che odio il mezzo che ho appena acquistato, e che disprezzo la gente che fa ciclismo e primo fra tutti me stesso, non-ciclista che pedala, un infedele, un parvenù, un pirla. Ma provo a mettercela tutta. Vado sull’Alzaia, imposto rapporti e moltipliche al massimo sviluppo, pedalo, vedo che vado, sfreccio, mi sento Indurain durante una cronometro, mi chiedo come mai non ho pensato prima a passare alla bicicletta, mi sento estremamente competitivo, minchia se corro, mi vedo già al via della mia prima corsa, una gran fondo, poi mi vedo sul podio, la rivelazione della corsa, il bacio delle miss.

Ed è proprio in quel momento, ogni volta cioè che vado a velocità apparentemente elevatissime e mi sento realizzato ciclisticamente e sogno l’approdo all’elite ciclista internazionale, che alla mia sinistra passano bambini, donne, pensionati, invalidi civili, commercialisti, ottantenni. Mentre io sono piegato in due sul manubrio, questi mi superano fischiettando. La vita del podista temporaneamente passato al ciclismo è una merda che nemmeno vi immaginate. 

mountain-bike-in-discesa-veloce-discesa-da-vicino.jpg