CURVE

PUBBLICITA’ REGRESSO

Questo bel video sta rimbalzando da ore sui social e registra quello che (purtroppo) qualche volta avviene negli stadi italiani, di ogni ordine e grado, San Siro compreso. La cruda oggettività del video dice fin troppe cose, omettendo però di evidenziarne una (come era scoccata la scintilla), particolare che contribuiva a dare una ricostruzione a senso unico dell’episodio. Per fortunata coincidenza, il buon Nicola era seduto nei pressi e ha fornito una puntuale ricostruzione del prima, durante e dopo di quel che rimane – comunque – un penoso, penosissimo episodio da stadio.

E’ giusto sottolineare che la baraonda è stata originata da un minus habens che tifava Juve. Ma, personalmente, non ho a riguardo un’opinione differente del curvaiolo che è andato a dirgli minacciosamente di andarsene, né tantomeno dei venti guappi con la mia stessa bandiera che hanno scavalcato e sono andati a menarlo. Per me, vestiti di bianconero o di nerazzurro, hanno tutti recitato a soggetto in un clamoroso spot anti-calcio (una specie di “pubblicità regresso” sul tema: la partita guardatevela a casa che è molto meglio) e fanno tutti parte – chi più chi meno; ma credetemi, sono solo sfumature – del cancro che andrebbe estirpato dagli stadi. Ristabilire la verità dei fatti, sottolineare come anche i grandi media si accontentino di tirare la solita conclusione comoda senza approfondire o verificare, mettere in guardia dal pericoloso passaparola via social (ovvero: come si propagano in fretta le notizie, vere false o imprecise che siano), ecco, tutto questo è doveroso, persino nobile. Ma qui fermiamoci. O almeno, io mi fermo qui. Non voglio minimamente giustificare niente e nessuno, davanti a un fatto ostentatamente ingiustificabile.

Mi è tornato alla mente un episodio marginale, quasi banale, un po’ fantozziano, di cui sono stato protagonista e che mi ha – una volta di più – allontanato intellettualmente dalla curva. Ero a Montecarlo per la finale di Supercoppa Europea e non ho potuto sedermi al mio posto – in curva, in una delle vezzose curve del vezzoso stadiuolo monegasco – perché c’erano dei tornelli umani che distinguevano tra curvaioli e occasionali, e impedivano a questi ultimi – riconosciuti a occhio – di prendere posto (il loro posto, regolarmente pagato, nel mio caso strapagato). Non ci ho messo molto a capire che nelle vezzosa curva c’erano almeno duemila persone in più di quelle previste (moltissime entrate senza biglietto, alla faccia della sicurezza Uefa) e che la MIA battaglia per andare al MIO posto era già persa in partenza. Pazienza. Mi sono visto la partita in piedi, l’Inter ha perso, vaffanculo, ho ripreso la macchina e sono tornato a casa.

Insomma, non ho preso pugni ma ho subito una violenza. E io non accetto né questa violenza né quella peggiore, a forza di nocche, di anfibi o di punte acuminate. Non accetto l’idea che non si possa andare in trasferta tranquilli, che non si possa vedere una partita in condizioni normali. Non accetto l’idea che nemmeno nel mio stadio sia necessario fare delle scelte, pensarci tre volte se sia meglio sedersi qui oppure là, chiedersi se abbia un senso andare al primo o secondo blu quando si gioca con Juve e Napoli, oppure sedersi troppo vicino ai posti verdi se si prevede un minimo di mescolanza.

Da quando la favolosa metafora degli “stadi per famiglie” e delle “famiglie allo stadio” riempie le bocche di chi non mette piede negli stadi, o si siede in lussuose poltrone centrali a distanza di sicurezza dalla merda che regna 50 metri più in là, sono passato dalla modalità “grasse risate” alla modalità “cambio canale”. I problemi degli stadi sono in quel video lì, sei minuti molto didattici al termine dei quali ti scappa la voglia. Poco mi importa, se non per rigore cronachistico, sapere chi ha cominciato per primo. Il problema è che, invece di vedersi una partita di calcio, c’è sempre qualcuno che comincia qualcosa. Questa, signori, è la merda che ci circonda, il cancro che ci ammorba. Io non sogno mica uno stadio “club Voltaire”, per carità, perché altrimenti mi farei un abbonamento a teatro e morta lì. Ma penso che tutti dovremmo coltivare un’aspirazione che ci distingua dalle scimmie: uno stadio con sedie comode, buoni servizi e ottima visibilità, dove esercitare tifo smodato con un minimo di rispetto per gli ospiti, con l’obiettivo di sotterrarli di gol e poi stringerli la mano prima di imboccare l’uscita. Il resto proprio non mi appartiene. E infatti al gol di Icardi saltavo come un bambino dell’asilo, “gaaaaa, gaaaaaa, gaaaaaaaaaaaaaaaa, tohhhhhhhh, prrrrrrrrrrrrrrrr, buahahahahahah!”, ma ero in soggiorno.

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