LONDRA DAY #13 (UPDATE)

BOLT E GLI ALTRI

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Che dire di Bolt che gli altri non dicano? Niente. Piovono aggettivi, tutti meritati, e io chiudo l’ombrello per farmeli arrivare addosso. Ogni finale di Bolt è un evento, ogni finale di Bolt è da ricordare. Anche le due di Londra, con cui diventa il primo di sempre. Quindi non ho più niente da dire. Lunga vita a Usain e ai suoi fratellini giamaicani veloci quasi quanto lui.

Bolt è talmente Bolt da oscurare tutto il resto. Ma stasera sono successe due cose bellissime. Innanzitutto un record da brividi alti così sugli 800 metri. David Rudisha deve ancora compiere 24 anni, ha una corsa bellissima, regale, e correndo in testa ha fatto da solo, di strapotenza, uno di quei record per i quali solitamente ci vogliono tre lepri e un meteo mite. Peccato che certe emozioni – Bolt e Rudisha, che può diventare il Bolt degli 800 – si debbano sovrapporre. C’era Bolt da vedere e quindi l’impresa di Rudisha, mostruosa, è passata in secondo piano, che spreco.

E poi Fabrizio Donato, un bronzo strepitoso per un travet dell’atletica, uno che non ha mai mancato un appuntamento epperò mancandoli quasi tutti, un po’ per gli infortuni, un po’ per la concorrenza, un po’ per la sfiga. Nell’anno in cui ne compie 36, Donato tira le fila di una carriera di pura applicazione e scarse soddisfazioni, vince nel giro di quaranta giorni gli Europei e il bronzo all’Olimpiade, alla sua quarta partecipazione, sole che nelle precedenti tre (una perfetta fotografia del suo percorso d’atleta) non si era mai qualificato per la finale. Quanto avevo dubitato di te, Fabrizio. E quindi adesso mi alzo in piedi ad applaudirti, perchè un bronzo nello stadio di atletica – e in una specialità dove i neri abbondano e imperano – ne vale dieci dieci della scherma o del tiro. E fare a 36 anni le due gare della vita, beh, è un gran bell’andare. Magnini, guarda e impara va’.

 

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