SECTOR IN HARLEM

TRA I NERI, NON PER CASO

‘Ste cose devo scrivermele.

Martedì sera verso le otto, stanco di vivere emozioni a cristalli liquidi in Times Square, dove gli exit poll arrivavano a basso ritmo sui maxischermi e qualche centinaio di ragazzotti faceva il tifo per l’uno o per l’altro in favore di steadycam, sono sceso in metropolitana. I due dollari spesi meglio di tutto il soggiorno newyorkese: un biglietto per salire sulla linea rossa e, in direzione nord, farmi portare alla 125th street.

Io a New York c’ero stato nel 1991, poi più. Un tour organizzato mi aveva portato sulla 125th davanti all’Apollo Theatre, templio della musica nera. Era la strada da dare in pasto ai turisti, giusto per poter dire di essere stati ad Harlem. Davanti al teatro c’era un tizio enorme pieno di collane e seduto su una sedia in vimini, che faceva finta di essere il re del quartiere. Intorno, una certa desolazione. La guida sul pullman aveva detto di fare in fretta, non si sa mai. Poi siamo andati nel Bronx. Non ci avevano nemmeno fatto scendere: “Meglio di no. Bene. Ora andiamo all’Empire”.

E quindi, insomma, appena ho messo il piede fuori dal tornello della metro un brividino mi è venuto. E salendo le scale come Pinocchio (ah, la maratona), sono arrivato sul marciapiede guardandomi intorno un po’ circospetto e tastandomi la tasca del portafoglio. Ma Harlem nel frattempo è diventata un’altra Harlem. Adesso ci vanno ad abitare anche i bianchi, perchè i prezzi sono più bassi rispetto a certe zone fighette di Manhattan. Chissà,  presto forse diventerà una zona fighetta anche Harlem, pensa te. Alle nove di sera, quando ancora i risultati erano troppo lontani dalla soglia dello sbilanciamento, c’era in giro poca gente. Molto pacifica, anche negli sguardi.

Al Lenox Lounge, con birretta o cocktail d’ordinanza, si brinda e si parla con un occhio alla tv. Ci sono parecchi bianchi con la spilla di Obama. Se non fosse per il volume alto della Cnn, sembrerebbe una serata normale. Entro, esco, scatto due foto. Lo fanno anche altri. Tutti documentano.

In lontananza vedo l’insegna dell’Apollo. Ci vado. La 125th non è patinata come Manhattan ma nemmeno quel bordello che mi ricordavo vagamente. C’è gente che si rimpinza da McDonald’s e Burger King, altra che si ustiona da Starbucks, altra ancora che gira tra gli scaffali di H&M. Non vedo più il ghetto violento descritto in certe guide di vent’anni fa. Stanno per eleggere il primo presidente nero e sembra un martedì come gli altri. L’unico segno di discontinuità è l’assembramento davanti a un maxischermo, dove c’è un palco per i comizi e qualche tribunetta. Una  discreta folla assiepata, ma niente di che. Ogni tanto si sente la voce di uno che arringa i presenti. Due applausi. Qualcuno suona il bongo. La Cnn sta ancora troppo sul vago per i gusti e le attese di questa gente.

Gli exit poll decisivi saranno alle 11. C’è tempo per mangiare. Lascio la piazza e vado da Silvya’s,  trecento metri più in là, ripassando davanti alla metro. Petto di pollo alle erbe. “No, le patatine non le abbiamo. Ti metto gli spinaci, guy”. E la birra? “La birra sì”. Nella sala grande c’è un cenone di sostenitori democratici, con bambini in ghingheri e signori con panza e cravatta. Nella sala dov’ero io si festeggiavano due compleanni. Tutti neri, tutti sorridenti. C’è anche un tavolo con quattro carampane bianche. Bianchi anche un cameraman e una ragazza, girano nel ristorante documentando non so cosa.. Si appalesa anche una strana compagnia italiana: tre gay, una donna. La Cnn è sullo sfondo. Tutti aspettano la valanga di seggi che sarà distribuita alle 11 di sera. Di tanto in tanto si assegna qualche staterello, soprattutto a Obama. Il quorum si avvicina. Ogni volta parte un gridolino, un battimani. Qualche sospiro. Pago e torno into the crowd.

Che però non c’è ancora. Ma inizia a formarsi intorno alle dieci e mezza. E alle undici c’è già un discreto casino quando la videata della Cnn sembra un jackpot. Stato dopo stato i numeri di Obama impazziscono e poi, con la California, sballano. Ora c’è casino. Cori, urla, gente che poga. La festa aspetta solo la parolina magica, “elected”, che  appare sullo schermo poco dopo le undici, le cinque del mattino in Italia.

Ero al posto giusto nel momento giusto. Mi trovavo ad Harlem nell’attimo esatto in cui gli Stati Uniti sceglievano il loro primo presidente nero.

Mi sono commosso un po’ anch’io. Perchè i ragazzi ballavano e facevano casino, si abbracciavano e cantavano, insomma pensavano a divertirsi e mettevano allegria. Ma quelli più anziani, diciamo da quaranta in su, avevano varie gradazioni di occhi lucidi, e qualcuno piangeva a dirotto perchè  si vedeva che questa gente, questo quartiere,

queste persone che Berlusconi definirebbe abbronzate,

un momento così lo hanno aspettato una vita e adesso ce l’hanno davanti e quasi non ci credono, anche se i sondaggi erano favorevoli, le premesse c’erano e, tutto considerato, l’eventualità che McCain la spuntasse era abbastanza residuale.  Obama è presidente. Arriva una folla pazzesca, Harlem scende in strada e converge lì, il luogo da cui tutte le televisioni facevano i collegamenti in diretta per testimoniare la reazione della New York nera.

Una calca abnorme. Ma intorno si realizza un piccolo miracolo che mi dice quanto sia cambiata New York dal 1991 a oggi. Mentre i risultati arrivavano, i poliziotti – giunti in forze senza dare nell’occhio – erano riusciti a transennare la strada. C’è la festa, ma i pullman passano (!). C’è un casino da non credere, ma i caroselli delle auto si fermano al semaforo rosso (tutto ciò è fantastico) (ma non era l’Harlem violenta, questa?). Sei nel pigia-pigia, ma non succede un cazzo.

Come in Italia, no?

Sulla tribunetta e tutt’intorno le ragazze si mettono a cantare “Ain’t no stoppin’ us now”, con una leggerezza e una felicità che resti lì a guardarle. Ne arriva di ogni. Mi passa davanti una sezione di fiati in fila indiana (“Oba.ma!, Oba-ma!”) e rischio la vita sfiorato da un trombone. Sul maxischermo compare McCain per il discorso dello sconfitto, che non ascolta nessuno (peccato, ha detto cose molto belle sull’orgoglio nero). Quando finisce, tutti lo salutano ironicamente. Si aspetta il collegamento da Chicago. Quando appare Obama, il casino è alle stelle. E d’incanto tutti zitti ad ascoltare un discorso che finirà sui libri di storia, come tutta questa notte.

I poliziotti presidiano la festa con una serenità quasi innaturale. Come se non ci fossero, ma essendoci, altrochè. Non sgarra nessuno, non è il momento. Dopo mezz’ora di wrestling riscendo in metropolitana per tornare a Times Square. Un uomo e una donna stanno litigando ferocemente da un marciapiede all’altro, e se non ci fossero i binari in mezzo si sbranerebbero. Vorrei dirgli che ha vinto Obama, ma mi siedo e mi godo lo spettacolo. Intorno tutti sorridono. Da pochi minuti hanno un presidente nero.

A Times Square la festa è più bianca, ma comunque impetuosa. Anche i tassisti fanno il carosello. E si fermano al semaforo rosso. Come in Italia. I poliziotti osservano compiaciuti la nuova New York mentre i maxischermi rilanciano l’immagine di Barack Obama. Mi faccio fare una foto da una ragazza che si impegna a trovare l’angolatura a effetto.

Gli Stati Uniti d’America hanno un presidente abbronzato, e io c’ero, nell’esatto istante che.

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(grazie a D., fratello di maratone e filmatore di emozioni, e a G., che mi ha portato ad Harlem)
SECTOR IN HARLEMultima modifica: 2008-11-06T22:29:00+01:00da admin
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