TURIN MARATHON

FAME

(No, non Fame, I’m gonna live forever. Fame, la fame, voja de magnà)

Niente, basta, ci rinuncio. Almeno: ci rinuncio con metodi naturali. La prossima volta mi impasticco, mi farò prestare della benzodiazepina e bòn. Perchè la notte della maratona prima non dormo, ormai è statistico. A Torino, oltre alla sindrome da notte prima della maratona, si insinua un altro nemico del sonno. La fame. Ho fame, nonostante la pasta sgagnata a cena. Cazzo faccio? Trovo dei cracker nel pacco gara. Li mangio. Ma dormo malissimo, parte un allarme, un ubriaco grida, alle tre nella camera sopra rientra una drag queen, a giudicare dal rumore dei tacchi. Quando finalmente mi rilasso e riesco a dormire per più di un quarto d’ora di fila, naturalmente, è ora di svegliarsi. Minchia, la solita notte di merda in un ambiente inospitale. E fame boia. Bella colazione. Ripasso i consigli del mio coach Stanislao Pizzinski, un boemo trapiantato a Nairobi o viceversa, un giorno me lo spiegherà. Vado. In netto anticipo. Talmente in anticipo che davanti ai bagni chimici non c’è coda e mingo per puro sfizio. Ho sonno ma sono anche rilassato. Il podismo mi brulica intorno. Sono con i miei due amiconi che ho iniziato alla corsa e che sono diventati più bravi di me, ovvio. Uno continua a ripetere ossessivamente che c’è troppo pavè: farà 3h 21′. L’altro si è messo l’Aulin nell’Enervit ed è preoccupato soprattutto di poter pisciare: farà 3h 28′. E io cosa farò? Secondo i miei calcoli dovrei fare almeno 10 minuti meglio di Milano: 3h 57′ meno 10 fa 3h 47′. Ma mi piacerebbe stare sotto le 3h 45′, posso farcela, debbo farcela. Chi vivrà vedrà.

Pum!, si parte. Una ressa della madonna. Primo km in 6′ 05″, bisogna recuperare perchè voglio fare la prima metà a 5′ al chilometro, passare ai 10 km in 50′, passare alle mezza in 1h 45′, con una tolleranza di un minuto, non di più. Freddino ma non drammatico, bel podismo, c’è addirittura gente sul percorso, i ragazzini che suonano le loro batterie, un’aria di ottimismo. Bene bene. Passo ai 10 km in 50′ 30″, media 5′ 02″, ahò, un metronomo. Proseguo con fiducia, cerco di non distrarmi, tengo il ritmo, passo ai 21,097 in 1′ 46′ 39″, mi faccio paura per la precisione, media 5′ 03″, Robert Haile Settoreh ha fatto molto bene metà dell’opera.

La metà più facile.

E infatti comincio a sentire un po’ la fatica. E’ normale, mi dico. Le gambe sono un po’ meno agili. E’ normale, mi ridico. E ho fame. Questo non è normale, fratello etiopo-vogherese, non è per niente normale. Ho già finito la scorta chimica e quando arrivo ai rifornimenti mi lancio sugli spicchi d’arancia. Fame. Comincio ad avere le traveggole. Mi appare Paula Radcliffe con in mano una pizza bufala e crudo. Scaccio i cattivi pensieri. Rallento ma non mi spezzo nè mi piego. Comincia a sembrarmi chiaro che da lì in poi saranno cazzi, ma tutto sommato mantengo una certa dignità di corsa. Passo ai 30km in 2h 33′ 40″, ho fatto gli ultimi 9 km a 5′ 16″ al km, la media gara è ancora a 5′ 07″, sono indietro di un minuto e mezzo rispetto alla mia tabella di marcia ideale ma sono ancora in vantaggio teorico sul mio personale di 3h 39′.

Mentre mangio tre spicchi d’arancia con la foga di uno che non mangiava arance da 15 anni, mi balena un pensiero stupendo: provaci R. H. Settoreh, provaci. Facciamo il personale.

E quindi allungo. Mi sento molto figo, stravolto ma fighissimo. Dopo due km allegri, però, Iddio punisce la mia insostenibile leggereza e mi vengono  improvvisamente e contemporaneamente 1) una fame ormai insopportabile; 2) la sindrome da stanchezza cronica; 3) un istinto suicida di quarto grado. Mancano 10 km e il muro mi è ormai apparso e non ho niente con cui superarlo, una scala, un’asta, un rampone, una picozza, un candelotto di dinamite, un pdf della Juventus, niente, non ho niente. La mia maratona finisce lì, mancano 3 km al prossimo rifornimento e sono troppi, come faccio?, ho fame, sete, sonno, carenza di affetto.

E’ il muro dei 30, bellezza, e non puoi farci niente.

Vabbe’, e che sarà mai? E’ la mia dodicesima maratona e per la dodicesima volta ritrovo il mio amico muro. Hello wall, how are you? A volte è alto, a volte è basso, a volte è al 27mo, a volte al 37mo, ma prima o poi lo trovi. Mica mi offendevo se arrivavi dopo, dear wall, ma ormai è andata. Rallento e mi posiziono sulla velocità di crociera da podista dignitoso: 6 al km. Comincia a superarmi gente. Negli ultimi 32 km il servizio di cronometraggio mi dice che mi supereranno 252 persone, alla media di 25 persone al km, cioè una ogni 40 metri.

Ogni 40 metri c’è uno che mi supera.

E’ terribile.

Mi superano uomini, donne, giovani, vecchi, baldanzosi, sciancati, commercialisti, drogati. Uno ogni 40 metri. Io non mi fermo mai, ma ad ogni culo che vedo passarmi davanti è una mazzata – 252 fottute mazzate – e a 6 al km, velocità da cui non mi schioderebbe nemmeno Charlize Theron nuda, l’unica speranza è di arrivare al traguardo con un tempo che non faccia schifo, sennò me la menerò per mesi, forse anni. Ricomincio a fare calcoli. Dopo il rifornimento del 35, in cui avrei mangiato 135 spicchi d’arancia ma mi sono limitato a 4, mi tranquillizzo: anche se arrivo piano sto sotto le 3h 50′, grasso che cola. Al 38mo mi supera un piccoletto di Brescia che continua a chiedere scusa a tutti. Il superatore gentiluomo, mi dico. In realtà scoreggiava di continuo, e a ogni scoreggia diceva “Scusate, eh?”. Umiliato dall’Uomo Peto cado in uno stato depressivo autolesionista e covo alcuni propositi insani, tra i quali non tornare mai più in Lombardia, iscrivermi all’Udc e allo Juventus club di Grugliasco.

Lì, al pensiero della Juve, ritorno in me.

Al rifornimento del 40mo mangio arance a nastro. Riparto. Stavolta corro quasi bene. Dura un km, ma mi sento rinato. Al cartello del 41mo mi pianto di nuovo, arranco, ma ormai è finita. L’arrivo è proprio bello, la via principale di Torino, le piazze principali di Torino, tante gente, applausi, sorrisi, musica, mani, urla. Wow.

3h 47′ 53″.

Toh? Dieci minuti meno di Milano, ma (almeno) tre minuti di troppo rispetto all’obiettivo che mi avrebbe soddisfatto davvero. Però non sono deluso. Quando arrivi dopo 42 chilometri tutto è relativo. Hai rotto il culo un’altra volta alla maratona, il muro l’hai trovato ma l’hai anche già dimenticato, fuck you wall, alla prossima. Sei vivo, con una medaglia al collo e un Gatorade in mano. Bevi il Gatorade, guardi la medaglia. Vivo.

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TURIN MARATHONultima modifica: 2012-11-20T01:29:00+01:00da admin
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