SECTOR IN CREMONA

IO, ODIFREDDI E GERVINHO

Mi reco dunque a Cremona per disputare il campionato italiano master di mezza maratona insieme ad altri 3300 mezzi maratoneti, una corsetta extralusso. Non potevo mancare al campionato italiano di specialità e la stessa cosa ha pensato il comitato organizzatore, che si è informato delle mie condizioni fisiche e mi ha invitato formalmente alla gara con una commovente telefonata*.

*(non è affatto vero, volevo solo aumentare il pathos di questo racconto)

Parto da Pavia che è ancora buio e scende una vezzosa pioggerellina autunnale (roba da tagliarsi i coglioni prima ancora di uscire dal portone) e arrivo a Cremona dove sono ancora tutti in giro in canotta e infradito: fa caldo. Il mio zaino pesa 18 chili perchè la sera prima ho infilato tutte le gradazioni di vestiario da “monsone padano” a “kit antiassideramento” non prevedendo che ci sarebbero stati 18 gradi e il 700 per cento di umidità. Per fortuna ho anche un paio di cose normali che vorrei infilarmi non appena ritirato un pettorale, ma un tizio uguale a Piergiorgio Odifreddi esce da una botola e mi punta il dito: “Non vorrà mica cambiarsi quiiiii? Lo spogliatoio è fuori a destra”. Alzo lo sguardo e vedo quindici persone in mutande che si stanno cambiando. Spengo l’interrogativo che sorge spontaneo in me e dico a Odifreddi: “Mi avete estorto 30 euro di iscrizione e quindi potrei andare a cambiarmi a casa di sua sorella. Ma mi scusi se ho contravvenuto al codice etico. Se mi lascia l’Iban faccio una donazione alla Maratonina di Cremona per ridimensionare questo increscioso episodio”.

Odifreddi va a prendere l’Iban e io mi dileguo. Poi, con tutta calma, vado alla partenza in compagnia di un paio di miei sodali tra cui Stefano, uno dei 5-6 autoctoni romanisti della provincia di Pavia, che grazie al doping calcistico di questo periodo farlocco farà il personale. Un minuto dopo il via, difatti, lo vedo andare via come Gervinho e non lo seguo. Prendo saggiamente il mio passo e mi sento piuttosto bene finchè non mi supera uno vestito alla hawaiana con la ghirlanda al collo e un mojito finto in mano e lì, inoppugnabilmente, capisco che sarà un’altra mattinata difficile. Mentre l’hawaiano con il bicchiere mi stacca in men che non si dica, ho una crisi d’identità: mi setto sui 5 al chilometro ma capisco che più di così non riuscirò ad andare. “E’ terribile”, faccio a un ragioniere che mi affianca sulla destra. “Terribile cosa?”, mi fa lui. “No, niente”.

Lo sguardo atterrito del ragioniere mi rincuora. Apprezzo la mia deriva zen. Non vado neanche a farmi spingere? E vabbe’, che sarà mai. Mi lascio risucchiare dalle lepri dell’ora e 50 perchè l’obiettivo minimo – fare meglio della Corripavia, 1h 52′ e rotti – lo devo portare a casa. Mi torna l’ansia. Ho pensieri di terrore, morte e distruzione. Verso il dodicesimo una scena che mi rianima: un deficente in moto taglia il gruppo da parte a parte, e mentre una ventina di mezzi maratoneti lo mandano affanculo un anziano volontario gli percuote il casco con la bandierina in dotazione. “Sdeng sdeng sdeng”. Il coglione riesce a fuggire prima che il vecchietto lo linci. Tutto molto bello.

Da lì in poi, non so perchè, vado un po’ meglio. Non mi scompongo nemmeno quando le lepri mi staccano un po’: secondo i miei calcoli (io dal 15mo in poi faccio calcoli astronomici che neanche Odifreddi, quello vero) sono in netto anticipo e infatti chiuderanno in 1h 48′ 40″ e io, che li tengo d’occhio da distanza, i palloncini verdi sempre a portata di rimonta, taglio in traguardo in 1h 49′ 16″, 10 minuti peggio di un anno fa ma 3 minuti meglio della Corripavia di 15 giorni fa. Io e la mia tallonspina stiamo bene insieme, ogni giorno un po’ di più. Una giovane volontaria rischia l’ernia al disco per ridarmi la borsa. Trovo Gervinho che mi sorride come dopo Inter-Roma e capisco che è andato bene. Torno al parcheggio e mi accorgo che avevo lasciato la macchina davanti allo stadio e, per di più, aperta. Al mio arrivo non mi ero accorto di entrambe le cose. E dire che lo stadio è lo stadio, e che la serratura fa clic-clac. Apprezzo che nessuno abbia rubato nulla e apprezzo la mia trance agonistica: noi atleti professionisti in recupero post-infortunio paghiamo un certo prezzo alla concentrazione. E tu, Odifreddi, fottiti.

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