CORRIPAVIA

IL FATTORE C

(CORRIPAVIA, CEREALETTI, CINQUE, CENTENTESIMI, CULO)

La Corripavia è una mezza maratona che mi gira intorno a casa e per me inizia un giorno prima con un rituale ormai codificato nel tempo. Il sabato pomeriggio vado al castello a ritirare il pettorale, poi vado a lavorare o a farmi i cazzi miei, e poi la sera prendo la macchina e vado a parcheggiarla a cento metri dalla partenza. La mattina dopo le strade vengono chiuse, ma la mia macchina è già là, parcheggiata regolarmente con vista gommone. La domenica mattina io arrivo a piedi (un giorno mi piacerebbe arrivare in ciabatte o in accappatoio), lascio che tutti i miei colleghi vadano a fare la fila ai cessi o al deposito borse mentre io, il dandy della mezza maratona, mi dirigo verso la macchina, apro il baule e inizio il rito della vestizione.

Mentre completo la parte fetish della vestizione – i cerotti sui capezzoli – mi giro e vedo uno che mi guarda e mi fa:

“Ma tu sei Settore?”

Debbo dire che ormai da due mezze maratone non mi riconosceva nessuno e questo aveva parecchio ferito il mio ego podistico-bloggarolo. L’ultima volta mi era capitato a Vigevano, quando un tale Andrea di Milano mi aveva affiancato mentre arrancavo a metà gara e mi aveva detto:

“Ma tu sei Settore?”

Dopo di che convenevoli, breve conversazione, scambio di pareri sull’Inter eccetera eccetera, finchè Andrea a un certo punto mi fa “Vabbe’, io allungo un po’, alla prossima, ciao Settore”, lasciandomi lì come quello della Mascherpa. L’incontro con Marco si svolge invece a bocce ferme, in totale relax. Con lui c’è il suocero, juventino, “ma gli ho fatto la tessera del tifoso dell’Inter”. E questa storia che gronda di buoni sentimenti – uno juventino che concede la mano della figlia a un interista e questo, non pago, gli fa la tessera del tifoso dell’Inter e lo porta a vedere il Rubin Kazan – mi ha conquistato. Saluto questi due eroi del fair play moderno e vado a scaldarmi, dove incrocio un po’ di gente tra cui Fabio, con cui di solito ci facciamo due risate in totale cordialità ma che stavolta mi guarda come se avesse visto una pantagana putrefatta. Sarà lui stesso, più tardi, a spiegarmi il perchè. *

* Fabio è milanista e ogni volta che io e lui ci incontriamo la mattina del derby, ecco, il Milan lo prende nel culo.

Dopodichè, distratto da altre chiacchiere, compio un errore mortale, un errore che nessun podista vorrebbe mai compiere. Il Garmin non prende il satellite, a un certo punto compare la scritta “ti trovi al chiuso ora?” e io, pur trovandomi all’aperto, pigio “sì”. Perchè ho pigiato sì? Non lo so. Ma è la fine. Ho castrato il Garmin. Gli ho tarpato le ali. Non riuscirò più a riattivarlo. Funzionerà il cronometro, vabbe’, ma non avrò nessun’altra informazione: km, media al km, media gara, media ultimo giro, media di qui, media di là.

E’ terribile.

Mi sento praticamente nudo. Mi sento come se non avessi le mutande. Mentre controllo se ho le mutande, pum!, si parte. Mi getto nella mischia a capofitto. Corro a sensazione. Faccio calcoli empirici. Sono in mezzo alla boglia degli 850 partecipanti ma intanto supero Fantazzini, zac, segno la prima tacca dopo due minuti dalla partenza, minchia che drago che sono. Passo al quinto km a 4′ 30″ spaccati di media. Cioè: troppo veloce. Ma mi sento bene. Affronto la seconda cinquina, la più difficile, con una discreta sensazione non dico di freschezza, ma quantomeno di esistenza in vita. Al nono chilometro, durante la salita di viale Libertà, il Pordoi di Pavia, faccio il primo incontro significativo della giornata:

il podista con la scopa nel culo.

Ora, i podisti sapranno di ciò di cui parlo. Ci sono molti podisti che corrono dritti e impettiti, ma questo è il prototipo del dritto e dell’impettito. Ha una tutina aderente tipo Uomo Ragno, una compostezza innaturale e trasmette la netta sensazione di correre – appunto – con una scopa su per il culo. Lo seguo per un km, lo lascio sfilare mentre bevo al ristoro, lo riprendo, lo supero, passo ai 10 km in una media gara di 4′ 37″.

Poco dopo il dramma. Durante il decimo km vengo superato da Cerealetti. Io Cerealetti l’ho quasi sempre battuto, ma avevo notato che ultimamente andava bene. Ha un passo deciso, cazzo, lo lascio andare ma sto così sereno che dico tra me e me:

“Ti raccolgo con il cucchiaino tra qualche chilometro, gringo”.

Mentre dico così, mi accorgo che Cerealetti ha infilato nei pantaloncini una bottiglietta da 50 cl di acqua. Praticamente, ce l’ha tra le chiappe. Cioè, sapete, tipo quelle rastrelliere da bicicletta che tu ci infili la ruota davanti e la bici sta in piedi. Ecco. Solo che lui ha una bottiglietta nella sua rastrelliera-culo. Non so come faccia, ma intanto mi stacca. Io mi dico: meglio perdere con dignità che vincere con una bottiglia nel culo. Nel frattempo mi raggiunge Scopa nel Culo e mi accorgo che sto abusando della parola culo.

Basta, mi dico, questa maratona gay non fa per me.

Passo all’undicesimo tra due ali di folla che mi incitano (vabbe’, esagero, ma c’erano quattro persone che incitavano me, giuro, ho i testimoni), vedo Cerealetti a distanza di sicurezza ma non me ne curo più. Continuo con il mio ritmo, perchè il nuovo Settoreh corre con più cervello rispetto a prima. Al km 15 sono ancora sotto i 4′ 40″ di ritmo gara e comincio a cullare un sogno:

“Dai Settoreh, stai sotto l’ora e 40, entra nel club dei cento minuti, dai un segno di ritrovata gagliardia, dai cazzo!”.

Lungo il Naviglio mi giro a guardare quelli sull’altra riva, che viaggiano ormai alcuni minuti dietro di me. E lì ho la visione più leggiarda della giornata:

Perdenzio.

Perdenzio ormai è perso, andato. La vendetta è consumata. Dopo un anno e mezzo gli sto facendo mangiare la polvere. Wow! Dai, ora che ho sistemato Perdenzio andiamo a riprendere Cerealetti. Vai, vai, vai. Arrivo al 17mo e vedo Cerealetti 100 metri davanti a me, 100 metri sono tanti ma ce la devo fare. Si passa sul ponticello, lo vedo sfilare prima di me, non ha più la bottiglia nel culo e questo mi fa pensare che ormai, liberatosi di ogni peso, stia dando il tutto per tutto.

Al 18mo e mezzo, a Pavia, alla Corripavia, c’è una salita. E su quella salita, che è peggio della collina di Alfano per Cuper, come al solito mi pianto. Scollino che sembro uno zombie, provo a ripartire in discesa ma non ce la faccio, sono fermo, imbalsamato. Mi appare in sogno Cerealetti che mi dice:

“In hoc signo vinces!”

e mi mostra una bottiglietta vuota. Sto per ritirarmi e bruciare la tessera Fidal in un falò quando a un certo punto ripenso alla mia vita, a Perdenzio, a Scopa nel Culo, e ho un sussulto di orgoglio. Riparto. Passo al 19, poi passo al 20, arranco ma non demordo, mi spezzo ma non mi piego. L’ultimo tratto: al confronto, la Parigi-Roubaix è un biliardo. Sassi, ciottoli, pavè, lastroni e altre merdate d’epoca. Cedo allo sconforto, faccio calcoli con il Garmin che non calcola più un cazzo, sommo, sottraggo e capisco che ormai non ce la farò a scendere sotto l’ora e 40.

“Merda! Viva l’Italia!”

faccio mentro passo davanti al teatro Fraschini e comincio a vedere in lontananza il traguardo. In lontananza, perchè è lontano. E io sono sconfortato, I’m going down. Non guardo più il Garmin. Mi rilasso. Cerco un contegno. Voglio arrivare in condizioni decenti per il fotografo. Cerco addirittuta di sorridere. Passo al 21mo, mancano 97 metri e mi accorgo che ho ancora lo 0,01% di possibilità di stare sotto l’ora e 40. Cazzo! Sprinto come un ossesso per 97 metri, passo sul chip, chip chip chip, pigio il cronometro, 1′ 39′ 59″. No, è clamoroso! Ma adesso lo so, il cronometraggio mi befferà, lo sento, argh!

Sarà mentre mi sto togliendo i cerotti dai capezzoli che mi telefonerà il Baffo. “Aspetta che guardo il tuo tempo”. Sento il cic-cic-cic della tastiera:

“1h 39′ 59′ 95. Bravo!”

Per cinque centesimi, cinque fottuti centesimi ho centrato l’obiettivo. 333mo su 825, una sciccheria. Perdenzio triturato, Fantazzini piallato. Peccato per Cerealetti. Ma il prossimo sarai tu, vecchio mio. Non avrò pace finchè non avrò battuto Cerealetti, l’uomo dalle chiappe-frigorifero. Il podismo è così, spietato, crudele. E Settoreh è il suo nuovo profeta.

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