PARTITO DEMOCRATICO

MOZIONE ZERO

In quanto interista e sostenitore (quest’anno, cielo!, non votante) del Partito democratico, diciamo che non mi annoio ma mi inquieto di brutto. Da una parte un’accozzaglia di miliardari vestiti di bellissimi colori e pieni di paturnie (gente che se ne vuole andare, altra che non se ne vuole andare proprio, presidente e allenatore che non se le mandano a dire già ai primi di luglio). Dall’altra un’accozzaglia di politici e para-politici pieni di paturnie, stop. In mezzo, io che mi informo – preoccupato – di tutte queste accozzaglie e di tutte queste paturnie e, di conseguenza, non trovo sui giornali letture rilassanti da mezza estate. Solo casini.

Ci sono stati fasi peggiori, per carità, molto peggiori. Essere interisti e pidiessini/diessini, in certi recenti momenti storici, era auto-istigazione al suicidio. Oggi, con quattro scudi consecutivi ad avermi alleggerito l’animo, non ho l’ansia da prestazione, almeno sportiva. Il parallelo in fondo regge: questo Partito democratico sembra l’Inter pre-manciniana, il Re Mida al contrario che popolava i miei incubi da interista. Con le tormentate vicende interisti ho sempre avuto un rapporto passionale e viscerale, maniacale ma anche un po’ giocoso (è pur sempre pallone). Con le tormentate vicende progressiste riformiste e centrosinistre sono nettamente più british (leggo sempre per prime le pagine sportive, abitudine cui derogo giusto per torri gemelle et similia), al limite del who cares?, ma la mia diligente e responsabile propensione all’essere cittadino del mio tempo, prima o poi, salta fuori. E allora mi macero: se non proprio tipo Stadio Olimpico il 5 maggio 2002, diciamo tipo Stadio Meazza l’11 maggio 2008, Inter-Siena, quando Materazzi sbaglia il rigore e tornano gli spettri. Ecco, sì. Mi sento un po’ sfinito come quel pomeriggio, quando vedevo la palla rimbalzare sugli stinchi di Suazo come in un maxi-flipper verde prato, in un inutilissimo forcing finale cui assistevo con una sottile e montante angoscia.

Nell’Inter pre-manciniana c’era un presidente che ci credeva ma combinava un sacco di guai, e c’era in campo una squadra talentuosa e ridicola allo stesso tempo, una squadra fatta di veri o presunti (spesso finti) campioni che non sapevano vincere, una squadra vittima dei suoi demeriti e di una situazione dolosa che avremmo poi scoperto nella sua pienezza.

Come il Partito democratico di oggi. Che ha presidenti/segretari che ci credono ma combinano un sacco di guai, alla guida di una squadra talentuosa ma scombinata (sì, ridicola), che non sa esprimere una posizione chiara e univoca praticamente su nulla. Un difettuccio mica da ridere, per un partito politico. E quindi la società Pd non sa vincere, vittima dei propri demeriti. E di una situazione dolosa (mi riferisco a quei milioni di italiani pigri e superficiali che si lasciano ipnotizzare da televisori e puttanieri) che forse un giorno scopriremo nella sua pienezza.

Nell’Inter pre-manciniana, ognuno di noi aveva la sua soluzione drastica (via il presidente, via gli allenatori, via i giocatori). Nel Pd post-veltroniano ognuno ha la sua soluzione, che equivale al fatto che nessuno ce l’abbia. Via i vecchi? No. Largo ai giovani? No. Spazio alla società civile? Sì sì, per poi cacciarla a calci in culo. Grillo? Ecco, bene, mandiamo tutto in vacca.

Mi vengono in mente le nostre care vecchie Inter che si prendevano palate di gol dai Comandini o dall’Alaves. Squadre che navigavano a vista nonostante avessero un presidente, un allenatore, vari dirigenti. Il Partito democratico è come le peggiori Inter degli ultimi quindici anni e non vedo come possa tirarsi fuori da solo da questa palude. Il modo in cui, su regia dell’apparato, è stato fatto il culo alla Serracchiani o a Marino alla prima occasione la dice lunga. E del resto – sono sincero – il Pd oggi è anche questo: un partito in cui basta dire due cose in un’assemblea per diventare il caso politico dell’anno e parlamentare europeo a furor di popolo. In tutto questo vedo approssimazione, debolezza, improvvisazione, sbando.

All’Inter c’è voluto Mancini, c’è voluto Ibra eccetera eccetera eccetera. C’è voluto anche Moggi. Non so cosa ci voglia al Partito democratico per diventare una “cosa”, che sarebbe già qualcosa. Basteranno queste primarie, basterà un segretario eletto alla fine di un regolare percorso? Boh. Oggi io non capisco un cazzo di questo partito, e non penso che sia per disinteresse o per distrazione. E’ solo perchè alla decima dichiarazione, da Franceschini a Bersani passando per la Binetti e la Parietti, io perdo il segno e torno alla pagina sportiva, dove c’è la stessa vacuità ma, almeno, non la pago io.

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