INTER-NOVARA

PRIMA O POI DOVEVA FINIRE

E’ stata una partita che mi ha fatto tornare giovane, quasi bambino. L’oratorio. Quel posto in cui raggruppavi una dozzina di ragazzi in mezzo al campetto, facevi le squadre e poi giocavi – appunto – un calcio oratoriale, quelle partite tiro-a-segno da “vince chi arriva prima a cinque”, e allora tiravi da qualsiasi posizione, senza alcun criterio che non fosse quello di arrivare in fretta a cinque, in fretta perché veniva buio, o perché oltre una certa ora il campo era prenotato, o perché il prete doveva chiudere, o perché la nonna ti aspettava per cena, o perché volevi fare almeno un gol di quei cinque lì, almeno uno, tirano tutti e io no?

E’ stata anche una partita che mi ha riportato indietro di otto anni, 18 gennaio 2004, Inter-Empoli 0-1, una classica partita del non ritorno. Fu dopo quella allucinante sconfitta, con un gol al 91′ di Rocchi (un altro Caracciolo), che Moratti si dimise lasciando il timone a Facchetti. La partita con il Novara non è stata meno grave, meno pesante, meno squassante di quell’Inter-Empoli. Non succederà nulla perché Inter-Empoli fu il culmine negativo di 15 anni di inutili e disperate attese, mentre Inter-Novara è il culmine negativo di un periodo breve e senza patemi, che segue il quinquennio delle grandi abbuffate – e forse la pancia piena è uno dei problemi.

Mi aspettavo qualche dichiarazione più contrita e più angosciata. No Ranieri, non mi venire a dire che non puoi rimproverare niente ai tuoi ragazzi, non mi venire a dire che le hanno provate tutte per vincere. Tirare duecento volte alla cazzo da venti metri non è provarle tutte: è provare la stessa inutile cosa per tutta la partita. Al netto degli errori dell’arbitro (due rigori negati sullo 0-0 probabilmente avrebbero cambiato la partita), e al netto della traversa di Sneijder (beh, capita) e della incredibile parata di scroto sulla girata del Pazzo (beh, concediamo anche al Novara il lusso di avere un portiere), questa partita un mese fa l’avremmo vinta 8-1, mentre oggi l’abbiamo persa in maniera triste, incaponendoci a fare le stesse cose a ripetizione, in un tipico schema mentale che non porta a nessun risultato se non quello di ammosciarti progressivamente, con il nervosismo che sale, la confusione che ti perfonde, tra uomini messi un po’ così, alla carlona, tipo un Forlan a fare i cross, per dire.

Oggi l’Inter è questa, è una squadra che vive di serialità: se va bene sciambola, se va male si perde in casa con chiunque. Una squadra che non ha certezze e che si esalta o si dissolve in alternanza e senza apparente spiegazione. Siamo come certi giocatori di basket che non sono bravi a difendere e nemmeno tanto ad attaccare, ma tirano bene le bombe. Magari hanno l’X-Factor e ne fanno trenta a partita quando gli gira, e magari la volta dopo spadellano cinque volte e li richiamano in panca per la disperazione. Giocatori di cui ti ricordi le volte che fanno trenta punti, certo, ma che sono irrimediabilmente scarsi. Giocare a basket non è (solo) tirare bombe, sennò basterebbe allenarsi al luna park.

Inter-Novara segna un momento importante nella storia dell’Inter. Basta, vi prego, con il passato. Basta parlare del Mou che avrebbe messo sei punte, basta parlare di un’altra Inter che avrebbe vinto con una gamba sola e avrebbe segnato tre gol negli ultimi due minuti. Oggi l’Inter ha girato pagina, ufficialmente, irreversibilmente. Da oggi l’Inter è un’altra cosa e non c’entra più nulla con quella cosa là. E’ una squadra che ha un’altra dimensione, altri obiettivi, altri occhi, altri cuori, altri piedi, altre teste pensanti, altri obiettivi, altri limiti. Magari adesso ne imbrocca ancora dieci di fila, certo. Magari no. Ecco, anche noi tifosotti, vi scongiuro, entriamo in un’altra dimensione, quella del magari no. E’ finita un’era, ne è iniziata un’altra. Zeru tituli, stavolta tocca a noi. E chissà per quanto.

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