INTER-OLYMPIQUE MARSIGLIA 2-1

EVVIVA

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Raramente siamo stati così sfigati, ma la sfiga fa il suo massimo effetto dove trova le condizioni favorevoli. E noi, per la sfiga, siamo una condizione favorevole fatta squadra, siamo la madre di tutte condizioni favorevoli. E’ come quando parti in macchina per andare in un posto e arrivare alla tal ora, e ogni volta che trovi un semaforo rosso o uno che va piano o una coda di dieci macchine cominci a smoccolare in quindici lingue e a dire “ma guarda che sfiga”, che è tutto vero, per carità, è sfiga, è sfiga, ma se uscivi di casa un quarto d’ora prima viaggiavi sul velluto e non tiravi giù i santi. Noi, quest’anno, ci siamo messi in macchina già in pesante ritardo, poi abbiamo fatto i numeri per recuperare, poi ci siamo fermati un attimo all’autogrill e ci siamo persi a guardare i cd, e poi sono ricominciati i semafori rossi, le code ai caselli sbagliati, i passaggi a livello che si abbassano. Ma se siamo in ritardo – e lo siamo, uh se lo siamo, è fin da luglio che lo siamo – non è colpa nè dei semafori, nè dei caselli, nè dei passaggi a livello e nè di squadracce come il Marsiglia cui abbiamo concesso il lusso di segnare due volte a partita finita, un regalo che nessuno può rifiutare, neppure le squadracce. E quindi: è colpa della sfiga, o è più semplicamente colpa nostra?

Questa doppia sfida con l’Olympique Portogruaro dice molto della nostra sfiga, della nostra dimensione e, in fondo, anche del nostro futuro. Oggi partirà una bella mail alla Nike in cui si confermerà che per il prossimo anno non ci saranno coccarde di nessun tipo, per la gioia degli stilisti che avranno mano libera. Sarà la prima volta dopo sette anni – hai capito, Filippo? Sette anni. Che cazzo rompi i coglioni? – e, com’è stata simbolica la partita di stasera, spero che la società colga anche il simbolismo dell’empty jersey. Non ci sono nemmeno più Mazembe e coppette ad allungare artificialmente l’epopea. Stop. Ci siamo fermati davanti a un gol para-oratoriale (rinvio del portiere, palla al centravanti, gol), e anche questo è metaforico. Ci restano 11 partite di campionato per inseguire non si sa bene cosa: non torneremo in Champions dopo 10 anni, anche l’Europa League oggi è distante 6 punti. Questa squadra ha ritrovato l’orgoglio e il coraggio, ma non ha più gambe e nessuno potrà restituirle gioventù e fame.

Da due mesi assistiamo a crolli più o meno simbolici, un effetto domino devastante per i nostri cuoricini a brandelli. Quello di stanotte – un crollo dopo una partita vinta – è amaro, struggente, malinconico, ingiusto. Ma – almeno, parlo per me – ha un sottofondo di serenità. Un po’ perché usciamo a testa abbastanza alta, e un po’ perchè la Grandissima Inter, o quel che ne restava, si ferma definitivamente qui. Ormai non c’è più via di scampo, non ci sono scuse, non restano più obiettivi (che angoscia, nemmeno il campionato). Massimo, da domani bisogna lavorare alla nuova stagione, alla nuova Inter. Qualunque essa sia. Dovessi esprimere un desiderio, direi: fai quel che ti pare ma basta equivoci, basta ex giocatori, basta scelte di ripiego. Una strada, anche difficile, anche lunga, anche impervia ma una. Tanto lo sapete che vi seguiremo in capo al mondo, anche con Jakala. Però non fateci i giochetti delle tre carte o i finti proclami, ché ci rimaniamo male. Viva l’Inter, viva i magici sette anni che si chiudono stasera, viva i cento anni che ripartono da domani. Viva l’Inter, sempre.

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