IL MIO NUOVO POSTO

SECTOR 425 ROW 3 SEAT 27

BREVE STORIA DI UN SEDILE

(NO, NON E’ BREVE, MA CI VUOLE. NON SIETE OBBLIGATI A LEGGERLA, NE’ A LEGGERLA TUTTA IN UNA VOLTA)

Il biglietto che mostro in questi giorni tipo trofeo è un altro. Settore 421, fila 4, posto 1. E’ in effetti il posto che ho pagato e dove però ho visto solo il primo tempo. Il secondo invece l’ho visto spostato di venti-trenta metri più a sinistra, al settore 425, fila 3, posto 27. Trasloco dettato da uno dei tanti segnali che nel corso della giornata di sabato mi avevano dato l’intima certezza che no, non poteva andare male, impossibile.

Primo segnale. Baracchino davanti al casello, gestito da uno dei più fini uomini di marketing della regione e, forse, dell’intero Nord Ovest. E’ dall’inizio del mese che il baracchino (di solito variopinto e multitasking) era monotematico: vendeva cose nerazzurre e basta. Finchè si arriva al momento top della stagione (Siena e Madrid) e la merce inizia a scarseggiare, finchè giovedì sera (momento toppissimo) il tipo si arrende, chiude e incolla sulla porta un foglio A4 un avviso con grafia incerta che più o meno recitava così: “Merce Inter esaurita in tutta Italia, vado a Como a cercarla”. Venerdì pomeriggio il baracchino era stato lasciato in gestione a due simpatiche signore che non distinguevano una maglia dell’Inter da una camicia hawaiana. Tutto quello che era rimasto era una maglia di Eto’o taglia S. Ma io volevo Milito XL, e le signore non si facevano una ragione del mio rifiuto. A corredo di questa premessa, aggiungo che – salvo casi straordinari – il baracchino apre solo il pomeriggio. Fatto sta che sabato mattina alle 7.30, appena partito in direzione Malpensa, a un incrocio mi scappa l’occhio verso il baracchino: non solo era aperto – ripeto, 7.30 di mattina – ma era uno stormire di bandieroni nerazzurri che la Nord a confronto è una sede Auser. Appesa a una porta, la maglia di Milito. Mi precipito e arrivo in derapata tipo Colin McRae. 20 euri ed ero equipaggiato di Milito 22.

Secondo segnale. Check-in, coda interminabile. Mi fanno compagnia Gratta (che ancora doveva farlo) e Ser con il suo scudiero (già imbigliettati e pronti a partire). Bello arrivare a Malpensa e trovarli lì pronti alla trasferta. Gratta è già in divisa sociale mentre Ser è vestito in maniera bizzarra: indossa un numero imprecisato di maglie tutte scure e tutte a maniche lunghe, ma nessuna dell’Inter. Finalmente ritiro i biglietti e vado all’imbarco, dando appuntamento a Gratta e Ser a Madrid, capitale della Spagna. Mentre sto per mettermi in fila al metal detector, mi accorgo che in uno dei due biglietti (uno per l’andata e uno per il ritorno) il mio cognome ha una lettera sbagliata. Visto che sono in leggerissimo anticipo torno al check-in dove faccio notare l’errore. Il primo addetto Jakala mi guarda quasi intenerito (dev’essere stato il problema più semplice di quella mattina), prende una biro e sta per correggere l’errore a mano quando arriva una donna Jakala e dice: “Uè, aspetta, i codici sono diversi”. “Ah!” fa lui, come se avesse sentito per la prima volta pronunciare la parola “codici”. “Non è che per caso sul volo c’è uno che si chiama quasi come me?”, dico io. E lui, ironico: “Controlliamo, sarebbe il massimo”. E infatti era il massimo. La donna estrae dal mazzo il mio secondo biglietto e rimette dentro quello del signor Torri, di cui non ho mai più avuto notizie.

Terzo segnale. In volo, inizia la distribuzione dei biglietti per lo stadio. Miss Jakala avanza tra i sedili e assegna la preziosa tesserina, misteriosamente già fuori da ogni possibile busta in cui avrebbe dovuto essere contenuta. Sul charter non c’era assegnazione dei posti, per cui io mi sono messo al primo finestrino libero, così, del tutto casualmente, direi verso la fila 19 o 20, non ricordo, comunque appena dopo la metà. Quando arriva da me, passo a miss Jakala il foglio di convocazione Jakala. Miss Jakala legge e, con uno sguardo tipicamente Jakala, mi chiede (la frase è originale e ho testimoni come per ognuno degli episodi citati in questo post): “Ma lei è su questo volo?”. Superato un attimo di sbigottimento (devo averla guardata come se avessi visto Thiago Motta vestito da hostess che mi serviva un drink), a una seconda lettura dei fogli trova il mio nome e mi dà il biglietto. Ancora un paio di file e i biglietti finiranno. Quelle 40-50 persone rimaste senza sarebbero state  convocate più tardi da Jakala in un albergo in zona Bernabeu per disputarsi i posti (lautamente pagati, savasandìr) con un po’ di altri clienti Jakala, molti dei quali incazzati con Jakala.

Quarto segnale. Ci troviamo con Gratta al Bernabeu. Gratta, nel corso del pomeriggio trascorso a zonzo per Madrid, incontrerà mezzi parenti, amici, ex-colleghi, vicini di casa, amici di amici (in particolare, uno che lo chiama con un altro cognome sapendo che quello non era il cognome giusto, ma così, per comodità). Troviamo Ronie in plaza Major molto su di morale. Mi denudo per mettermi la maglia di Milito. Merenda, cerveza, jamon, foto con tifosi tedeschi. Poi riprendiamo la strada per il Bernabeu, sbagliando un cambio di metropolitana e incontrando tre tifosi del Bayern un po’ cazzoni che andavano in giro con le valigie. I tre erano simpatici e parlavano italiano. “Cosa cazzo fate con la valigia?” chiedo io per rompere il ghiaccio. E loro mi rispondono che sono arrivati giovedì e andranno via lunedì, cambiano sempre albergo e sono felici. Poi uno dei tre si toglie il cappello: “Sono gufo”, dice. Era un cappellino del Milan. Al che io e Gratta ci contorciamo dal raccapriccio, loro ridono, ciao ciao, scendono. Qualche minuto più tardi, sul marciapiede di un’altra fermata

(faccio una pausa, qui siamo al limite del paranormale, ma se non ci credete chiedetelo al Gratta)

il Gratta medesimo pesta un qualcosa e lo raccoglie. “Oh madonna, è il cappellino del Milan”. Lo aveva perso il tedescone? Boh, probabile. Da dentro uno dei vagoni, stipati all’inverosimile, un ragazzo grida al Gratta: “Che schifo, buttalo sotto, buttalo sotto”. Il Gratta rinvia di destro. Il cappellino plana e si ferma su uno dei neon dell’illuminazione dove immagino sia ancora adesso e dove resterà per anni e anni. Applausi dal vagone.

Quinto segnale. Dopo esserci rincorsi per tutto il giorno, a due ore dalla partita riusciamo a darci un appuntamento con dste. Baci, abbracci, convenevoli. E’ con il fratello e un ex-alunno madrileno vestito con la maglia del centenario. Dal nulla ricompaiono Ser e il suo scudiero. Ser ogni tanto si toglie una maglia ma sotto ne ha una uguale. Folla brulicante, casino. Mi sento toccare a una spalla: “Ma tu sei Roberto?”. Ma oui, faccio con nonscialàns. Il tipo si qualifica: è Francesco, è di Catania, ha scritto solo un commento da quando legge il blog e sognava di conoscermi (è la stessa frase che userei se incontrassi Scarlett Johansson, per dire). Foto, abbracci, momenti molto interisti. Con Gratta, Ser e lo scuderio salutiamo anche la comitiva stefaniana e andiamo a bar per l’ultima birretta. Incontriamo di nuovo Francesco che sta facendo il culo al telefono a un amico: “Minchione, così impari ad andartene via, ho incontrato Settore!”. La vita è bella.

Sesto segnale. Vado al mio posto con gli occhi pieni del Bernabeu. Il posto è il numero 1, quindi sono vicino al corridoio. Che per un po’ resta deserto, ma poi si popola di curvaioli scesi dal quarto anello a tentare di organizzare il tifo. Siccome il settore e il Settore sono lì per vedersi la partita come cazzo vogliono loro, e non per esultare a comando, i curvaioli cominciano il loro mantra che durerà per tutti i 45 minuti: “Merde, tifate, merde, cosa cazzo siete venuti a fare, ma state a casa a vedere Sky, tifosotti, merde, pagate 900 euro e state qui seduti, ma cosa fate, merde, applaudite, urlate, merde, su le mani, su le mani, merde, tifosotti, merde”. Come Fantozzi con il famoso coglionazzo, al duecentesimo “merde” mi sarei alzato a pestarne uno, ma gli altri mi avrebbero fatto a pezzi. Mi distrae solo il gol di Milito. Poi ricominciano: merde, tifate, tifosotti, Sky, euro, merde”. Fischio finale del primo tempo. Guardo il cellulare, affranto. C’è un messaggio del Gratta: “Non so come, ma vicino a me c’è un posto libero. Settore 425 fila 3 posto 27. Se vuoi vieni qui”. Lo chiamo immediatamente: “E’ ancora libero?” “Sì sì, vieni”. Avrei voluto fermarmi in balaustra e dire “Merde, il tifosotto se ne va, andate a fare in culo, viva Sky, viva Jakala, merde”, ma tenevo molto a vedere il secondo tempo e tornare a casa con i miei connotati in ordine anatomico.

Il resto è Storia. Al gol di Milito ho esultato come non avevo mai fatto prima, abbracciando sconosciuti e urlando come un ossesso, pogando e saltabeccando lungo il settore 425, perdendo la sciarpa per ritrovarla un quarto d’ora dopo, perdendo la voce che non ho ancora riacquistato. Io sono un tifosotto e ne vado fiero, e nel settore 425 era pieno di tifosotti che urlavano, ridevano e piangevano, gente che aspettava da 38 o 45 anni, o gente a cui era stata raccontata tutta la storia precedente ed erano consci del momento.

Per la notte di Madrid vorrei infine ringraziare:

dste, che mi ha aperto la strada verso l’agognato pacchetto. A bonifico effettuato a Jakala gli chiedo: e tu? E lui: “Boh, vedremo”. “In che senso? – gli faccio io – Fai prendere il pacchetto a me, e tu non ce l’hai?” “Se te l’avessi detto prima, non avresti accettato”. Questo è dste.

Gratta, con cui ho condiviso – a parte il prepartita – la più incredibile ora di tifo e di calcio che mi fosse mai capitata. Ci sono momenti in cui è bello esserci. Ero ad Harlem nel momento della proclamazione di Obama, ero a Madrid nella notte della Champions e del Triplete. E mentre sul campo la Coppa passava di mano in mano, su imbeccata del Gratta cambiavo nome al blog.

Michele, che mi ha scritto da dentro il Bernabeu mentre ero in fila ai tornelli: “Entra. Respira. Guarda dove ci hanno portato i ragazzi”.

Jakala, per avermi fatto vivere mille emozioni tra informazioni che non arrivavano, biglietti che sparivano, regole che cambiavano, bus che scappavano, slot che si perdevano. “Avventure nel mondo” al confronto è una gita per vendere le pentole.

la Compagnia del Boccio, per i momenti di intenso impegno civile e interista degli ultimi mesi.

tutti quelli del blog, perché senza di loro sarei un tifosotto.

quelli del Bayern, perché sappiamo quanto è brutto tornare a casa a mani vuote. Avevano delle belle facce, come le nostre, ed è stato bello condividere con loro la notte di Madrid. Se tutte le partite fossero così, se tutte le trasferte fossero così, probabilmente – dico a te, Josè – gli italiani amerebbero davvero il calcio.

madrid_22052010 021.JPG
IL MIO NUOVO POSTOultima modifica: 2010-05-24T20:03:00+02:00da admin
Reposta per primo quest’articolo